No, non è una provocazione. O forse si. In ogni caso non importa.
Il punto importante in questo spazio è concentrare l’attenzione sulla pratica in musica e sul metodo da adottare.
L’argomento può sembrare vecchio o comunque già ampiamente dibattuto ma più vado avanti nel mio percorso di formatore più mi imbatto nel tema dell’esercizio e della pratica come unico vero mezzo per provare a raggiungere i propri obiettivi.
E anche se questo fosse ben assodato il problema è che però si sta andando in una direzione opposta, per molti motivi.
La tecnologia innanzitutto qui è protagonista e imputata, insieme alla facilità di avere nel palmo della propria mano ogni informazione desiderata, tutto a portata di click o di smartphone.
YouTube, i tutorial e i contenuti che ci martellano senza sosta, caricati sui vari canali a una frequenza sempre più alta e che tendono a sintetizzare in pochissimo tempo un sacco di nozioni.
La lettura di un manuale d’istruzioni pare la scalata dell’Everest, di tempo non ne abbiamo e invece di iniziare lo impieghiamo nella ricerca di una strada alternativa senza minimamente pensare che potremmo anche non trovarla, e soprattutto che stiamo rinunciando ad una soluzione certa al nostro problema, ovvero sfogliare il volumetto fatto apposta per questo.
Anche con la soluzione fornitaci di fronte agli occhi optiamo per qualcosa che sia in linea con quello che è il nostro stile di vita attuale, fatto per non perdere tempo e avere tutto e subito.
È ovvio che queste riflessioni si prestano benissimo alla formazione musicale dove metodo, pratica, costanza, pazienza e la cara vecchia filosofia dello “step by step” sono principi impossibili da scardinare.
Per quanto sia sotto gli occhi di tutti che le innovazioni tecnologiche abbiano dato il loro contributo ad aiutare nella crescita nuove generazioni di musicisti e performer, bisogna affermare che dalla pratica quotidiana, anche poca ma costante, non si scappa.
Come forse già detto in altri contesti questo è abbastanza risaputo nella community dei musicisti, un pò meno tra i dj che soltanto negli ultimi anni stanno scoprendo l’approccio alla disciplina dato da un percorso di studi.
Altro dal blog: “Studio e formazione musicale: l’esempio del corso per DJ“
Parlo quindi avendo una prospettiva privilegiata e assai vicina alla questione, sia per il mio passato di musicista e studente sia per il mio presente dall’altra parte della cattedra, dove si alternano lezioni teoriche e pratiche e dove l’andare piano e fare le cose con calma, pazienza e costanza è un mantra imprescindibile.
Quel che noto e ho notato in ormai 12 anni di attività didattiche portate avanti nelle situazioni e location più disparate, dai basement dei club agli studi di registrazione, dalle vetrine dei negozi di grandi marchi ai centri come Musiclab, è che la cosa più complicata da insegnare non sono concetti o passaggi magari particolarmente difficili e ardui nella loro essenza, ma un metodo e un modo di fare che possa creare una nuova routine, un approccio alla disciplina e una dedizione che sarà poi l’unica chiave per raggiungere un qualsiasi risultato.
Anche la piccola esibizione nel locale sotto casa non arriva con il postino che bussa alla porta, ma è frutto di impegno e lavoro, nell’esercitarsi su tecnica e strumenti così come nelle pubbliche relazioni.
Nessuno regala nulla, bisogna conquistarsi ciò che si vuole.
Ovvio è che c’è qualcuno con una maggiore predisposizione, è così in ogni area.
Io stesso probabilmente sono più portato per la corsa a piedi rispetto al bungee jumping, anche perché soffro maledettamente di vertigini, ma non ne faccio un dramma, lo so e riconosco la cosa.
Se volessi lanciarmi in una nuova avventura saprei comunque di dover affrontare una nuova routine fatta di metodo e costanza, e che solo passo dopo passo si raggiungono le proprie mete.
Prendo spunto dalle riflessioni di questo articolo per ripubblicare due passaggi dal libro “Il Prossimo Disco”, metodo di studio per DJ che ho pubblicato nel settembre 2021 e dove si parla proprio di questo in alcuni punti e che forse possono stimolare una riflessione.
Bisogna studiare
Ho iniziato da ragazzino a suonare la batteria. Sono partito da autodidatta, dopo un po’ di tempo ho capito che da soli si può arrivare fino a un certo punto, poi bisogna studiare.
Non c’è da discutere, è così. Amen! Stop! Fine del dibattito! Non è questione di talento o predisposizione, quelli aiutano, ma per migliorare davvero, per sfruttare a pieno tutto il potenziale bisogna studiare.
In musica questo è assodato, riconosciuto, certificato e viene attestato quando si termina il percorso di formazione. Ci sono scuole di ogni tipo, natura, ce ne sono ovunque, ci solo classi collettive e lezioni individuali, in presenza, online, insomma potrei andare avanti.
Così come esistono i metodi di studio, libri e manuali pensati per insegnare uno strumento o parti di esso. Ci sono metodi sulla teoria, la storia, la pratica, l’evoluzione, ci sono i canzonieri. E per i DJ?
I DJ non studiano, semplice. I DJ sono i bulli della situazione, quelli per cui studiare non serve a nulla. La realtà è che più che bulli siamo bullizzati, screditati dalle altre figure professionali del mondo artistico.
I DJ sono quelli che si formano da soli, non si sa nemmeno bene come.
Ognuno trova la sua strada. È difficile imparare, figuriamoci entrare a far parte del giro delle serate. Da qualche parte si deve pur partire.
Penso che la figura del dj otterrebbe maggiore credito presso gli addetti ai lavori se riuscisse a diventare prassi un corso di formazione, lo studio, la pratica, un metodo.
Impara ad ascoltare
La musica è un linguaggio, prima di parlare una lingua è necessario comprenderla e per comprenderla serve ascoltare.
Se solo anche nella vita tutti imparassimo ad ascoltare un po’ di più.
Non mi riferisco neanche all’ascolto del prossimo, quanto di se stessi.
Tralasciando per un attimo la parte di spiritualità e mindfulness meglio tornare alla musica.
Dobbiamo imparare ad ascoltare, a raccogliere le emozioni e a cogliere le informazioni che un brano ci fornisce.
Noi DJ con una canzone facciamo tanto, la riproduciamo, la manipoliamo, la distorciamo, la mischiamo, la filtriamo. Per fare tutto questo abbiamo bisogno di comprendere bene cosa abbiamo per le mani.
Un po’ di studio sulle basi di teoria musicale non pensate aiuterebbe?
Solo un po’ di metrica, qualcosina. Giusto dare una sbirciata dentro quel grande contenitore in cui ci sono come il tempo, il ritmo, i bpm, le terzine, il battere e il levare.
Io ad esempio penso sia necessario, ma allo stesso tempo non obbligatorio.
Non sono così rigido ma molto onestamente riconosco che aiuti molto, esattamente come mi ha aiutato tantissimo iniziare a studiare batteria.
Premesso che sono un batterista dotato di talento e tecnica più che comuni, la domanda è: sarei arrivato allo stesso livello senza studiare?
Magari sì, magari no, magari chissà. Non è questo il punto, il punto è che se anche ci fossi arrivato sicuramente ci avrei messo un sacco di tempo, risorse ed energie in più.
Lo studio innanzitutto conferisce metodo, e senza metodo a mio modo di vedere è difficile fare qualsiasi cosa.
Io poi forse esagero, cerco un metodo per fare e ottimizzare qualsiasi cosa, ma questo sono io, non posso negare la mia natura.
Metodo e ottimizzazione: due concetti praticamente estranei al mondo del dj, nella sua versione più classica e tradizionale.
Questo almeno è ciò che ho dedotto incontrando negli anni colleghi e allievi tra i più disparati e con esperienze e background alle spalle dei più variopinti.
Perché non può esistere un metodo per dj? Un metodo per lo studio di quelle quattro o cinque cose che servono a essere un performer migliore. Non dobbiamo andare sulla luna, non dobbiamo operare a cuore aperto o costruire ponti e autostrade. Lavoriamo con la musica, la maneggiamo, ma questo basta a richiedere un minimo di conoscenza che vada giusto un poco oltre il saper distinguere la techno dal reggaeton.
Questa forse andrebbe messa al primo posto tra le regole da seguire per un dj, ma la verità è che questa lista non ha una vera numerazione. Mi piace elencarle in questa maniera, ma la priorità e l’ordine di importanza dateglielo voi.
Chi sono io per dire cosa è più importante?
Certo l’esperienza gioca un ruolo fondamentale, ma l’esperienza è pur sempre qualcosa di personale, i cui tratti possono essere condivisi con tante altre persone, ma alla fine è qualcosa di estremamente intimo.
Non usarla questa esperienza sarebbe stupido, come sarebbe stupido non condividerla e non prestarla a tutti quelli che vogliono intraprendere un viaggio in questo settore.
La cosa che mi piace di più di tutto questo è quanto sia contrario alle leggi che hanno sempre governato l’apprendimento dei dj.
Non voglio tornare sulla questione della cultura underground e cose di questo tipo, ma di base ribadisco che se c’era una disciplina che ognuno imparava a modo suo, grazie a sguardi furtivi, segreti rubati ed estorti a tasso alcolemico fuori legge, e grazie a tanta, tanta, tanta pratica solitaria, questa era proprio l’arte di mettere i dischi.
Perché le normali scuole di musica non hanno un corso per dj?
Scopri l’offerta formativa di Musiclab dedicata ai dj:
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